Infedeltà patrimoniale: possibile concorso del collegio sindacale

di Vincenzo Cristarella - - 1 Commento

La tutela penale del patrimonio sociale, disposta dall’articolo 2364 del codice civile è stata da tempo sollecitata per allineare il nostro ordinamento a quello degli altri paesi europei, i cui legislatori già da tempo hanno formulato figure criminose di infedeltà di portata generale, in seno all’amministrazione dell’altrui patrimonio, ovvero specifica per il contesto societario. L’articolo 2634 del codice civile integra anche l’articolo 646 codice penale, insufficiente a qualificare penalmente fenomeni distorsivi di gestione e piuttosto idoneo a colpire le “elementari” condotte depredazione economica, per un personale illecito profitto.

L’interesse protetto:

La norma incriminatrice tutela il patrimonio della società o la ricchezza ad essa disponibile, quali ad esempio i beni posseduti dalla società per conto di terzi; l’evento lesivo si concreta nel relativo pregiudizio. Poiché il conflitto di interessi, scevro da danno, risulta penalmente  irrilevante, è escluso l’interesse alla mera fedeltà nel tratto di gestione.

I soggetti attivi:

I soggetti attivi del reato sono i titolari, formali o quali esercenti di fatto, ovvero i soggetti investiti della qualifica o titolari della funzione e chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, del potere dispositivo dei beni sociali: amministratori, direttori generali, liquidatori.

E’ esclusa, eccetto i direttori generali,  la categoria dei dipendenti nonché l’institore.

I sindaci ai quali sono assegnate mere funzioni di controllo e di vigilanza “dall’esterno” sono rimasti fuori dall’elencazione dei soggetti attivi ma possono rispondere del reato di infedeltà patrimoniale solo a titolo di concorso, ai sensi dell’articolo 40 comma 2 c.p. e sempre che ne sussistano i requisiti dettati dagli omessi obblighi delle proprie funzioni poste anche a garanzia dei terzi

Il presupposto del reato:

Presupposto del reato è il conflitto di interessi, situazione che vede contrapposti, e non soltanto sovrapposti, come previsto dalla patologia civilistica dell’articolo 2391, da un lato, interessi connotati da “patrimonialità”, della società o quelli del terzo dei cui beni la società sia responsabile; d’altro canto, interessi extra-sociali, immediatamente pertinenti al soggetto attivo ovvero a costui indirettamente riferibili.

Più esattamente, gli interessi della società si identificano in quelli propri dell’organismo interno: non, dunque, quelli di un singolo socio e neanche della maggioranza. Quali interessi “patrimoniali”, sono connessi alla integrità ed all’incremento del patrimonio sociale, come l’aspettativa di massimo profitto nell’impiego delle risorse ovvero nella ricerca del minor danno.

L’interesse del soggetto attivo non è esclusivamente proprio della sfera economica di questi, poiché la condotta di infedeltà può dispiegarsi anche a favore di terzi, “al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio” , intendendosi per vantaggio una nozione più ampia e meno “patrimonializzata” di profitto: tipico il caso di delibera di acquisto a condizioni ingiustificatamente onerose presso un fornitore, parente o amico dell’amministratore, o la cessione a prezzo ingiustificato vile da parte di un liquidatore ad un suo conoscente.

La condotta:

La malversazione del potere gestorio non ruota sull’ “abuso di gestione” né sulla “violazione dei doveri”, ma sul collegamento tra il conflitto di interessi e il “compimento” o la “delibera” di “atti di disposizione” di beni sociali. Il “compimento” di questi atti definisce un momento di gestione, scevro da connotati formali. La “delibera” di atto impositivo, provvedimento connotato da qualche formalità, non postula “deliberazione di consiglio”, estendendosi anche al caso di decisione presa dall’amministratore unico o senza riunione di consiglio. La delibera può rapportarsi al solo artefice, oppure innestarsi nella condotta di altro soggetto, sia quest’ultimo consapevole o meno concretarsi in comportamento fattivi, anche esterni alla votazione in seno al consiglio. “Atti di disposizione” sono quelli che esprimono la volontà sociale e sono frutto dei poteri istituzionali di gestione dell’impresa, esclusi, dunque, i meri comportamenti predativi, come i casi di accaparramento o distrazione dei cespiti patrimoniali , al di fuori dei limiti statutari, dell’oggetto sociale, di ogni interesse rapportabile all’attività dedotta nello statuto. Situazioni, invece, riferibili – ricorrendone gli altri requisiti tipici – al solo articolo 646 c.p.

L’oggetto materiale:

L’atto dispositivo è relativo ai “beni sociali”, quindi mobili o (a differenza che per l’articolo 646 c.p.) immobili; ma anche immateriali, come ogni tipo di pretesa giuridica, ivi compresi i diritti di esclusiva o di mero godimento come ad esempio la convenzione locativa di durata eccedente le soglie di legge ed a condizioni del tutto svantaggiose.

L’oggetto è connotato da disponibilità attuale al patrimonio della società: l’opportunità economica meramente eventuale o la rinuncia a possibili utilità, come ad esempio quelle derivante dalla deliberazione di non servirsi di beni o servizi presso un certo fornitore, o di non partecipare ad una operazione finanziaria, etc., restano fuori dalla fattispecie penale.

L’elemento soggettivo:

Nel timore che il precetto penale possa perseguire anche mere ed ineludibili discrezionalità gestorie, il dolo è connotato non soltanto dalla necessaria rappresentazione delle componenti oggettive del reato ma dipende anche dall’intenzionalità nel cagionare il danno alla società, pertanto, dalla “voluta dammi”, connotato che presumibilmente renderà rarefatta l’applicazione della norma. Non è sufficiente, cioè, la mera accettazione del rischio di conseguenze pregiudizievoli. Esse si profilano come obiettivo diretto del proprio agire e non ad esso meramente accessorie. Requisito non richiesto dall’articolo 2634 comma 2 sì che per la gestione dei beni altrui assume rilievo anche il dolo eventuale di danno del bene del terzo, con qualche squilibrio di equità.

Ulteriore momento del dolo è dato dallo specifico scopo di procurare a sé o altri, in quest’ultimo caso non è necessario richiedere una posizione conflittuale con la società né consapevolezza dell’illiceità, un ingiusto profitto o altro vantaggio, nozione quest’ultima che esula dal mero tornaconto economico e comprende qualsiasi utilità.

La consumazione:

Il reato si consuma con la verificazione del danno patrimoniale. Ad essa si connette il “tempus commissi delicti”, memento che può rilevarsi anche distante dall’azione, mentre il luogo della commissione si radica nella sede sociale, quale centro di riferimento patrimoniale dell’ente offeso, ove  –  quindi – nella normalità ha luogo anche l’azione, salvo il caso di pluralità di sedi; è ipotizzabile il tentativo.

La procedibilità e l’assenza di responsabilità amministrativa dell’ente:

Il delitto è procedibile a querela della persona offesa, la legittimazione alla proposizione della querela, pertanto, è riservata all’assemblea dei soci. Viene esclusa la legittimazione del singolo socio. Poichè vi è – normalmente  – coincidenza tra autore del reato e maggioranza societarie di cui è espressione, è facile pronosticare una rara frequentazione giudiziale di questo reato e la conseguente assenza di protezione degli interessi dei soci di minoranza. Legittimato, invece, è il terzo se il reato è commesso su cose di questi, affidate alla società ed in suo pregiudizio patrimoniale persona che – a differenza del socio, del creditore, del concorrente – dispone di un diretto potere di attivazione repressiva. Nel caso di gruppi societari, la legittimazione spetta in capo al singolo organismo che ha tratto detrimento patrimoniale dalla scelta illecita. Se la società è ammessa a procedura concorsuale, la procedibilità del reato, quando questo risulta connesso con il dissesto,  come prescritto dall’articolo 223 comma 2 numero 1 della legge Fallimentare rubricato “ Fatti di bancarotta fraudolenta”,  è d’ufficio.

I rapporti con l’articolo 646 c.p.

L’articolo 2634 manifesta – in una posizione di specialità – parziale sovrapponibilità rispetto all’articolo 646 c.p. Nella più ampia categoria dell’abuso gestorio, la norma penale-societaria serba autonoma capacità punitiva, attese le connotazione peculiari che si aggiungono alla condotta descritta dal delitto di appropriazione indebita. Si tratta, pertanto, di specialità “per aggiunta”, che restringe il comportamento sottoposto a censura e che non dà luogo – nel fenomeno della successione della legge penale nel tempo – ad “abolitio criminis”, ma all’applicazione dell’articolo 2 comma 3 c.p.  rubricato “Successione di leggi penali”.

Autore dell'articolo
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Vincenzo Cristarella

Dottore commercialista in Brescia e Revisore legale, maturata esperienza significativa in ambito societario, tributario, procedure concorsuali e collegi sindacali, scrive su riviste specializzate su temi del collegio sindacale e revisione legale. Coordinatore della commissione "collegio sindacale: controlli di legalità e modello 231” dell'ODCEC di Brescia.

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